Il piccolo appartamento, stretto tra le grandi case del centro, cercava di opporsi con una certa grazia gli attacchi del tempo. Il terrazzo fiorito stava a guardia della porticina che in tutta fretta permetteva l’ingresso nella cucina odorosa di aglio e basilico, Poi d’un tratto lungo un profondo corridoio che, come una fenditura etrusca ti gettava in una camera sepolcrale, ecco il talamo, il salotto dalle pareti di dischi, dalla lucente tromba d’ottone, dai cuscini blu con le greche gialle.
Ero molto stanco
quella sera in cui vidi il mio appartamento cedere alle insidie del tempo e ai
grandi palazzi del centro. Ero io che stavo cedendo i l mio passo ad altri, la
mia ombra ad altri che ne avrebbero fatto pasta fredda da servire in estate.
Perché l’efficienza prevede pasta con il pomodoro caldo in inverno e pasta
fredda d’estate. Oppure che di fronte ad un cliente devi saper dire la cosa
giusta anche se la cosa giusta non è altro che un ripetere frasi già dette in
miliardi di posti nel mondo. Perché se a Milano un rappresentante deve saper vendere lo deve
saper dire con parole sue, ma le sue parole sono le stesse che usa un
giapponese o un nigeriano o un pakistano.
L’efficienza mi
sta diventando stretta. La qualità del servizio, il cliente soddisfatto , il vestito
a posto , i capelli in ordine. Oggi avrei sparato al mio capo. Telefonata al
cliente. Mentre stavo telefonando lui si accanisce su di me perché anzichè dirgli “Richiamami” (così l’azienda
risparmia) mi lava la testa con un “fatti chiamare”. Non sono efficiente.
Forse sono deficiente, che alla fine vuol dire che sono carente di qualcosa: mi
manca l’efficienza.
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